Easy Joint e i coltivatori rispondono al Consiglio Superiore di Sanità sul ‘NO’ alla vendita della cannabis light Il Css si pronuncia contro la 'cannabis light': ecco la risposta di Luca Marola, fondatore di Easy Joint, l'Avvocato Giacomo Bulleri, da sempre a fianco dei coltivatori di canapa, Mario Lorusso, coltivatore pugliese

In un parere richiesto a febbraio dal segretariato generale del ministero della Salute, il Consiglio superiore di sanità (Css) ha sostenuto «che siano attivate, nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti». I due quesiti: se questi prodotti siano da considerarsi pericolosi per la salute umana, e se possano essere messi in commercio ed eventualmente a quali condizioni. Alla prima domanda, il Consiglio «ritiene che la pericolosità dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di ‘cannabis’ o ‘cannabis light’ o ‘cannabis leggera’, non può essere esclusa». Perché? «La biodisponibilità di Thc anche a basse concentrazioni (0,2%-0,6%, le percentuali consentite dalla legge, Ndr) non è trascurabile, sulla base dei dati di letteratura; per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico-fisiche, Thc e altri principi attivi inalati o assunti con le infiorescenze di cannabis sativa possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili; tale consumo avviene al di fuori di ogni possibilità di monitoraggio e controllo della quantità effettivamente assunta e quindi degli effetti psicotropi che questa possa produrre, sia a breve che a lungo termine».
Inoltre, al Css «non appare in particolare che sia stato valutato il rischio al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni, quali ad esempio età, presenza di patologie concomitanti, stati di gravidanza/allattamento, interazioni con farmaci, effetti sullo stato di attenzione, così da evitare che l’assunzione inconsapevolmente percepita come ‘sicura’ e ‘priva di effetti collaterali’ si traduca in un danno per se stessi o per altri (feto, neonato, guida in stato di alterazione)».
Rispetto al secondo quesito, il Css ritiene che «tra le finalità della coltivazione della canapa industriale” previste dalla legge 242/2016 – quella che ha ‘aperto’ al commercio, oggi fiorente, della cannabis light – “non è inclusa la produzione delle infiorescenze né la libera vendita al pubblico; pertanto la vendita dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di ‘cannabis’ o ‘cannabis light’ o ‘cannabis leggera’, in forza del parere espresso sulla loro pericolosità, qualunque ne sia il contenuto di Thc, pone certamente motivo di preoccupazione».
“Non la vedo contraddittoria o contrastante, ma, anzi, complementare con il disciplinare e con il percorso che abbiamo fatto perché, giustamente, il Consiglio Superiore della Sanità, si preoccupa che il prodotto non sia dannoso per la salute. Nel Disciplinare era stato proprio previsto tutta una serie di prodotti e di sostanze che non devono essere presenti, previsto dai regolamenti comunità e in conformità con quelli, a tutela della qualità del prodotto. Al di là dei pareri e della preoccupazione del Ministero della Salute che, peraltro, anche la circolare del 22 maggio aveva preannunciato visto che prevedeva che le infiorescenze non dovessero presentare sostanze dannose alla salute, giustappunto si pone in maniera complementare con il disciplinare e aiuta a garantire un prodotto di qualità e sicuro. Chiaro che, viceversa, un’ interpretazione che porti al blocco totale del mercato, quelli che ci rimettono sono tutte le aziende che hanno investito nel corso dell’ annata agraria durante la quale sono stati fatti investimenti: 5mila ettari coltivati, più di 1000 aziende. Bloccarla tout court, viceversa, sarebbe un intervento molto limitativo. Però, ancora una volta, ci vuole buon senso e logica. Mi sembra si parli su piani diversi di un’ altra cosa. E’ chiaro che occorre sempre combinare la competenza del Ministero della Salute con l’ aspetto degli operatori agricoli” dice l’ avvocato Giacomo Bulleri, con una esperienza legale nel settore della canapa, a fianco dei coltivatori.
Quale posizione potrebbe prendere la politica? “Io mi auguro che la volontà sia quella rispondere alle esigenze del settore che aveva già chiesto regolamentazione. Hanno proposto una regolamentazione con Disciplinare che si fa portavoce delle stesse esigenze e delle stesse criticità. Anzi, proponeva delle soluzioni per garantire la sicurezza del prodotto che, giustamente, è la preoccupazione del Ministero della Salute. Auspico maggiore dialogo tra i soggetti e le istituzioni competenti. E’ un parere che dovrebbe, almeno credo, essere sottoposto all’avvocatura dello Stato e poi il Ministero della Salute, oltre che il Legislatore, faranno il loro dovere” riprende l’ avvocato.
Ha compreso su quali valutazioni è stata presa questa posizione? “Non lo so. Oltre a questo, si parla di un comunicato di qualche riga. Su questo, non mi vorrei addentrare”, ci dice Bulleri che poi precisa che: “Non credo che il problema sia il livello di THC perché se già la Cassazione aveva detto che sotto lo 0,5% non ha potere drogante e l’ONU aveva sostenuto che il discrimine tra Canapa industriale e stupefacente è l’1%, suffragato da dati scientifici, non credo che la questione sia il principio attivo che è stato dimostrato non avere effetti psicotropi sulla base degli studi ad oggi fatti e dei provvedimenti che ci sono. Credo che l’ esigenza sia la stessa palesata dagli operatori del settore: la necessità di regole certe e di contorni entro i quali si debba muovere un mercato nuovo che si è affermato dopo una legge recente così da strutturarsi. Giustamente il Ministero della Salute si preoccupa dei prodotti che vengono assunti dal consumatore”.
E’ d’accordo con chi, condividendo la posizione espressa dal Ministero della Salute, sostiene che la maggiore preoccupazione sia per i giovani? “Io penso che i consumatori siano tutti uguali. Chiaramente, il problema è ben posto e magari si valuterà se è un prodotto da destinare solo ai maggiorenni con l’ esclusione di alcune categorie di soggetti. Ma credo che già molte raccomandazione e molte etichette già escludevano la vendita ai minori, alle donne in stato di gravidanza, quindi alle categorie più sensibili. Detto questo, queste sono considerazioni che spettano al Ministero della Salute sulla base della valutazione oggettiva della sicurezza del consumatore. Potrebbe essere un intervento chiarificatore del Ministero, magari escludendo alcune categorie di consumatori” afferma Bulleri. “La cannabis light” – ricorda l’ avvocato – “ è un brand coniato a livello mediatico. La fama può aver indotto a maggiori controlli. Ma è sostanzialmente un’ infiorescenza con bassa percentuale di THC che, da anni, è stato dimostrato non avere effetti psicotropi”. Non è che andiamo in senso opposto al Canada che pochi giorni fa ha legalizzato l’ uso ricreativo? “Mi auguro di no” – conclude Bulleri – “Spero prevalga il buon senso e l’ equilibrio di tutte le parti in gioco. Anche guardando a Paesi più liberisti di noi”. E per il futuro? “Non lo so. Secondo me, almeno mi auguro, si va verso una regolamentazione e non verso una esclusione o divieto”.
“Quello del Consiglio superiore di Sanità è un parere non vincolante che va al legislatore. Noi che abbiamo fondato questo mercato, per seguire questa strada di accreditamento della commercializzazione dei fiori di canapa a sostegno dell’ intera filiera italiana, abbiamo bisogno di regole. Ne abbiamo così tanto bisogno che, in assenza delle regole statali e istituzionali, abbiamo lanciato e concluso proprio in questi giorni, come la vostra testata ha documentato, un percorso di autoregolamentazione sulla produzione delle infiorescenze che va proprio nella direzione della sicurezza del consumatore“, sostiene Luca Marola, fondatore di Easyjoint.
Quindi, anche i pareri del Consiglio Superiore della Sanità “vanno esattamente nella direzione che noi stiamo chiedendo da mesi. Il principio di precauzione posto dal Consiglio Superiore della Sanità come elemento per chiedere la chiusura di questo mercato è un principio che non si applica ad un prodotto e ad una sostanza il cui valore di THC è stato già, nel tempo, definito come non pericoloso. Lo 0,2% non lo abbiamo inventato noi, ma è la percentuale di THC presente nella canapa agricola autorizzata, la cui coltivazione, anche dei fiori ovviamente, è autorizzata sia in Italia che in Europa. Quindi hanno definito lo 0,2 non perché i legislatori italiani ed europei si sono svegliati la mattina con una particolare fascinazione per il prefisso telefonico di Milano, ma perché è suffragato da dati scientifici circa la non tossicità di quel valore. Noi commercializziamo la canapa con quel valore di THC proprio perché già altri soggetti, anche chi da pareri al legislatore, hanno finito quel principio attivo come non drogante. C’è già. Auspichiamo che questo parere del Consiglio Superiore della Sanità aiuti il legislatore a costruire un sistema di regole e di norme, nell’ interesse della filiera italiana e nell’ interesse di chi è già un attore di questo mercato che, ricordiamo, esiste da oltre un anno e non ha portato a nessuna forma di abuso o danno alla salute. Sono altri i problemi che noi abbiamo evidenziato sulla cannabis light: i prodotti non conformi che provengono dall’ estero; la mancanza di analisi sulle concentrazioni di metalli pesanti, ad esempio, nelle infiorescenze; la concentrazione di THC, problema soprattutto legale, superiore al consentito oggi dalla nostra legislazione. Questi sono i tipi e i metodi di coltura, di fertilizzazione e di conservazione che possono, appunto, danneggiare il prodotto e quindi incidere sulla salute umana. Ecco questi sono gli elementi importanti del lavoro e delle regole che noi stiamo con forza chiedendo. Ci auguriamo che anche il Consiglio Superiore della Sanità si allinei a quanto il dibattito sulla cannabis light ha prodotto fino ad oggi”, conclude Luca Marola.
“Parlo in qualità di fondatore di Roots, tra le prime aziende in Italia a scommettere in questo mercato, spinto non solo dal semplice business, ma soprattutto convinto che la cannabis light potesse sconfiggere il proibizionismo”, ci dice Mario Lorusso, fondatore di Murgia Roots. “È passato un anno da quando è arrivata la legge, si sono creati nuovi posti di lavoro, paghiamo le tasse, stiamo contribuendo a rialzare il settore agricolo e quanto comunicato da Consiglio Superiore della Sanità ci sembra una cosa ridicola perché, invece di investire sulla ricerca, continuiamo a percorrere la strada bigotta del proibizionismo.
Considerata anche la recente legalizzazione in Canada ed il comunicato ufficiale dell’organizzazione mondiale della sanità che parlava della riabilitazione della canapa, venduta in farmacia come farmaco e quindi non dannosa, Roots ritiene tutto questo una caccia alle streghe per favorire i soliti “noti“. Siamo favorevoli ad una regolamentazione chiara che regoli il mercato, ma combatteremo l’inutile proibizionismo che aleggia sull’Italia, nonostante in poco tempo abbiamo dimostrato quanto questa pianta risollevi l’economia: negozi, aziende agricoli ed alimentari, commercialisti, avvocati, notai, tipografie, etc.. Roots si schiera dalla parte di chi ha investito i propri risparmi ed il proprio tempo in questo settore: questo è il motivo di essere tutti uniti, facciamoci sentire e rivendichiamo quello che è giusto”, conclue Mario Lorusso.